Il clan delle cicatrici
Rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto, che diventa ancora più pregiato. Grazie alle sue cicatrici. L’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi.
Quando una ciotola, una teiera o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille cocci, noi li buttiamo con rabbia e dispiacere. Eppure c’è un’alternativa, una pratica giapponese che fa l’esatto opposto: evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto. Si chiama kintsugi, letteralmente oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiunzione (“tsugi”).
Quest’arte giapponese prescrive l’uso di un metallo prezioso – che può essere oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro – per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, esaltando le nuove nervature create. La tecnica consiste nel riunirne i frammenti dandogli un aspetto nuovo attraverso le cicatrici impreziosite. Ogni pezzo riparato diviene unico e irripetibile, per via della casualità con cui la ceramica si frantuma e delle irregolari, ramificate decorazioni che si formano e che vengono esaltate dal metallo.
“So che gli occhi, la testa, ti si fanno di pietra
È il buio che avanza e l’anima arretra.
Che siam fatti di carne e di cicatrici
che la vita riassorbe e trasforma in radici.” Ninna nanna del so, Enrica Tesio
Così le cicatrici diventano bellezza da esibire. Con questa tecnica si creano vere e proprie opere d’arte, sempre diverse, ognuna con la propria trama da raccontare, ognuna con la propria bellezza da esibire, questo proprio grazie all’unicità delle crepe che si creano quando l’oggetto si rompe, come fossero le ferite che lasciano tracce diverse su ognuno di noi.
Un percorso di arte terapia con donne vittime di violenza
Uno dei compiti del processo arte terapeutico con individui traumatizzati consiste nell’elaborare l’esperienza dolorosa, sia attraverso le memorie e i ricordi emersi durante il processo, sia mediante una neo acquisita capacità narrativa coerente di sè. Cosa significa questo nella pratica? Per un Gruppo di donne ha significato abbandonarsi all’esperienza con i materiali ed avere fiducia nella guida dell’arte terapeuta, come fosse un novello Virgilio che le affianca e le sostiene in questo viaggio alla scoperta di un mondo interno inesplorato.
L’attività rivisitata del Kintsugi è stata particolarmente significativa e ha cambiato le dinamiche del Gruppo. Durante la seduta sono stati dati alle partecipanti dei piatti di ceramica grezzi da personalizzare a piacere. Le donne ironizzano sull’oggetto “piatto” che a loro ricorda l’ambiente domestico collegato al preparare il cibo. Questa ironia è una difesa evoluta sempre presente nel Gruppo che a volte ci aiuta a sciogliere momenti di timidezza e anche a giocare un po’ alleggerendo l’atmosfera. Il piatto è il contenitore del nutrimento e allo stesso tempo la sua forma circolare rimanda al Sé. Non a caso che le opere hanno assunto un aspetto mandalico. In una prima fase dell’attività i piatti vengono decorati con grande cura. Nella seconda fase i piatti devono essere rotti. Questa richiesta genera un po’ di scompiglio nel Gruppo e le donne esitano nel distruggere ciò che hanno creato.
Poi, all’improvviso, “crash”, “zbam”, “patacrash”, tutte iniziano a gettare a terra i piatti con grandi risate e immerse in un’atmosfera di gioco. I piatti sono avvolti nei fogli di giornale per non rischiare di ferirsi, e questo ha reso ancora più emozionante la scoperta di questo pacchetto e del risultato casuale della rottura. Il Gruppo osserva il momento della rottura come significativo di un qualcosa che non esiste più com’era nel passato. L’ascolto di sè e delle emozioni collegate ad ogni aspetto motorio e simbolico di questa attività è prezioso.
Nella terza fase del lavoro i cocci, vengono ri-assemblati in modo creativo. Occorre fare una selezione di cosa tenere e cosa buttare e dare una nuova vita e un nuovo significato all’oggetto, valorizzando (volendo anche con l’oro) le fratture che si sono generate nella rottura. La fase della ricostruzione per alcune donne è difficile, non solo per la tipologia di spaccature, ma anche perché si vorrebbe ripristinare lo status iniziale dell’oggetto perduto e ciò non è possibile. Come vediamo dalle immagini, si è cercato di ricostruire l’opera iniziale.
“Così chi ha torturato viene ridotto in pezzi, l’immagine dell’orco o del persecutore viene trafitta e distrutta.” Mimma Della Cagnoletta
Il Gruppo in questa fase ha continuato a esplorare i materiali artistici e a immergersi nel processo creativo, che non è solamente un processo estetico, ma è un processo che aumenta la loro capacità negativa, la capacità cioè di trovare soluzioni positive a stimoli negativi. Sta imparando attraverso l’approccio sensoriale e la successiva elaborazione simbolica a valorizzare i traumi riscoprendo la propria capacità di reinventarsi attraverso soluzioni creative.
Questo lavoro segna un primo contatto, un giro di boa nel percorso, in cui le utenti iniziano a riconoscere parti di sè e della situazione traumatica, elementi che sono diventati tollerabili e che possono modificarsi, quando nuove conoscenze affioreranno.